La scatola di mamma
Davanti a me, sul tavolo, mia madre posa una vecchia scatola di metallo. Ha settant’anni, logora, scolorita, i segni del tempo incisi su ogni lato. Lei la osserva con occhi attenti, e io le dico subito di non pensare a verniciarla. “È proprio qui che sta la sua bellezza,” le dico piano. Lei abbozza un sorriso, ma vedo un’ombra scendere sul suo volto. È come se quel piccolo oggetto racchiudesse un mondo di ricordi, lontano e doloroso. Mia madre prende la scatola tra le mani, con delicatezza, come se fosse fatta di vetro. “Questa scatola,” mi sussurra, “racchiude tutta la mia infanzia.” E mentre parla, affiora la storia di una bambina piccola, malata, costretta a lasciare la sua casa, la sua famiglia. Doveva guarire, le dicevano, e così a sei anni fu portata in un istituto di suore, lontano centinaia di chilometri, nella grande città di Napoli. Tre anni lì, tra mura fredde, tra suore troppo severe, con altre bambine che come lei vivevano la propria lontananza e solitudine. Ma in quel tempo, tra tante figure autoritarie e distanti, c’era una suora, gentile e dolce, diversa. Era l’unica che sapeva offrire un sorriso, una carezza materna. Fu lei a donarle due cartoline, semplici ma preziose, che mia madre ancora conserva, incorniciate con cura. Erano il suo unico conforto, un legame fragile e delicato che le dava un po’ di calore. Ora, quella scatola scolorita è il simbolo di tutto ciò: la paura, il coraggio, la solitudine, e quell’affetto inaspettato di una suora che, per un po’, le ha fatto da mamma. Quella bambina spaventata è diventata la donna che ho davanti a me, con una forza che traspare , con i suoi limiti e difetti che giustifico perché non ha avuto i mezzi per curare le ferite , erano altri tempi … “Ecco perché non voglio cambiarla,” le ripeto. “Quella scatola è bella così, con tutta la tua storia dentro.”
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